Prima di vederla per la prima volta, non ho mai pensato ad Aosta come a una città con testimonianze di epoca romana tanto numerose e monumentali da meritarle il nome di “Roma delle Alpi”.
Ricordo che quando vi arrivai per la prima volta, andai ad alloggiare appena fuori dal centro storico, oltre il torrente Buthier che un tempo scorreva sotto un ponte romano ancora perfettamente conservato ed utilizzato. Un bellissimo“angolo” che mi parve un piccolo villaggio fuori dal tempo. Quello fu il mio primo incontro con Aosta romana.
Entro nella città storica
Davanti a me, per entrare in città, l’Arco di Augusto con inserito quel crocifisso che allora mi stupì non poco. Perché un crocifisso dentro un monumento romano? Allora ovviamente non ne conoscevo la storia di offerta votiva contro le esondazioni del Buthier, che a me invece pareva tanto tranquillo e sereno.
Quell’arco in onore del vincitore, un po’ isolato in tutta la sua imponenza, ricorda da secoli la vittoria romana sui Salassi, popolazione probabilmente celto-ligure sconfitta nel 25 a.C. dopo oltre un secolo di resistenza sulle montagne dove si erano ritirati.
Proprio qui, dove fu edificata Augusta Praetoria Salassorum, c’era già una loro antichissima città dalle origini che si perdono nel tempo del mito: Cordelia fondata, secondo la leggenda, addirittura nel 1158 a.C.
Quando ritorno ad Aosta mi piace sempre entrare nel suo centro storico partendo proprio dall’Arco di Augusto per poi proseguire lungo via Sant’Anselmo d’Aosta (uno dei più importanti teologi e filosofi cristiani del medioevo divenuto arcivescovo di Canterbury), che ricalca il tracciato del decumano della città romana.
Resistendo alla tentazione delle offerte golose dei tanti negozi di specialità valdostane, arrivo all’imbocco di via Sant’Orso. E qui non cerco neppure di resistere alla tentazione!
Ritorno sempre a vedere (ancora una volta, ma sempre con grande emozione!) lo stupendo complesso medievale dedicato a Sant’Orso. Il priorato, la chiesa e lo stupefacente chiostro, un capolavoro della scultura religiosa romanica. Un angolo di Aosta che amo particolarmente (Sant’Orso, un gioiello medievale ad Aosta).
Aosta romana
Alla fine di via Sant’Anselmo l’imponente Porta Pretoria immette nello spazio dell’Aosta romana, quadrata e cinta da mura possenti, fortificate con torri.
Un ingresso maestoso per una città monumentale, uno dei centri più ricchi e popolosi dell’Italia Settentrionale, all’incrocio delle direttrici commerciali che passavano dai passi del Piccolo e del Gran San Bernardo.
La “porta” è una massiccia costruzione complessa, uno spazio chiuso tra due spessi muri con aperture per il passaggio di carri e pedoni e una torre angolare.
Proprio qui a fine gennaio, alla Fiera di Sant’Orso ho visto esposte le più belle sculture in legno degli artigiani della valle. (Ad Aosta per la millenaria Fiera di Sant’Orso)
Del sistema difensivo dell’Aosta romana rimangono tratti delle mura e alcune delle venti torri perimetrali, in parte scomparse, in parte utilizzate nei secoli come abitazioni o magazzini come Tour Pailleron a lungo utilizzata come pagliaio, dal cui uso prende il nome.
Vicino a Porta Pretoria quello che resta di una grande facciata di 22 metri aperta da file di archi, le gradinate ad emiciclo e le fondamenta del muro di scena è tutto quello che rimane del Teatro romano.
Camminando tra i suoi resti è difficile immaginarlo pieno di spettatori, elegante nel suo rivestimento di marmi, statue e colonne. Un teatro degno della ricca Augusta Praetoria Salassorum, la “Roma delle Alpi”.
Tanto prospera e monumentale che, secondo Svetonio, l’imperatore Augusto avrebbe detto che “ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo”!
Scendo nel Criptoportico
E il Foro della città, il suo cuore politico, economico e religioso? Di fronte alla Cattedrale, dove pare ci fossero due templi gemelli di cui non restano tracce archeologiche ma, forse, in un qualche modo collegati al Criptoportico, un misterioso monumento sotterraneo.
Da un piccolo giardino di fianco alla Cattedrale scendendo pochi gradini si entra in un ambiente stranissimo, che ha fatto discutere a lungo gli studiosi sulla destinazione di queste navate sotterranee, articolate in tre lunghi corridoi separati da grandi archi ribassati.
Tante le ipotesi. Chissà, forse si trattava di una struttura legata al culto imperiale, forse un luogo di celebrazione di culti locali, o riservato alle corporazioni cittadine. Non è dato sapere con sicurezza.
La vita quotidiana di Aosta romana
Per conoscere la vita di Aosta romana niente di meglio di una visita al vicino Museo Archeologico.
Suggestive sale sotterranee ci conducono tra cunicoli dove spuntano installazioni contemporanee e considerazioni sulla fugacità della memoria che accrescono la suggestione di un percorso che inizia in modo imprevisto ed affascinante.
Mi fermo a leggere quei primi cartelli che non mi spiegano oggetti esposti ma, come in un percorso iniziatico nei “Labirinti della memoria”, mi invitano a riflettere su “ciò che di noi vorremmo non cambiasse mai come le parole impresse nella pietra o nel metallo”.
Un continuo confronto, un parallelismo tra lo scavare e il conservare dell’archeologo e quanto avviene nella nostra memoria.
I magazzini dei musei sono la memoria da cui emergono reperti preziosi, di cui talvolta si sa pochissimo. Veri antri del tesoro e, come accade nella “nostra memoria a volte riemergono ricordi che credevamo scomparsi” perché “la memoria come l’archeologia accoglie tutte le suggestioni possibili dalla sua ricerca e cerca di dare attraverso di loro un senso al nostro presente”.
Inizia la storia della valle e del suo inserimento, dopo decine di secoli dal primo popolamento, nella struttura imperiale romana.
Passando di sala in sala attraverso gli ambiti della vita quotidiana, dal sacro al profano e mi soffermo a leggere le scritte di rassegnata saggezza o di irriverente ironia di lapidi tombali o incise sui muri di una taverna.
“Sono fuggito. Sono fuori. Speranza, fortuna vi saluto. Non ho più niente a che spartire con voi. Prendetevi gioco di qualcun altro”.
Quando risalgo a fine percorso, ho l’impressione di avere fatto una discesa nei sotterranei della memoria e dell’animo umano.
“L’archeologo non scava oggetti ma esseri umani”. Mortimer Wheeler
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