Il viale alberato si stacca dalla strada e arriva alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. Mi sento immersa in un tempo diverso. Un tempo di quiete, di fede.
Sant’Antonio di Raverso e il Fuoco di Sant’Antonio
Davanti a me le testimonianze di quando qui arrivavano o transitavano malati e pellegrini che percorrevano la Via Francigena scendendo dalla Val di Susa. E doveva essere un luogo non di quiete, come mi appare ora, ma brulicante di voci, di andirivieni, di piccoli commerci e di lamenti. Sì, perché vicino alla chiesa e al convento, vicino agli edifici che racchiudevano cascine e stalle, c’era l’ospedale per i malati, soprattutto quelli del doloroso Fuoco di Sant’Antonio.
Ora dell’ospedale resta solo la bella facciata quattrocentesca, simile nello stile a quella della chiesa, quest’ultima caratterizzata da tre grandi ghimberghe gotiche, decorazioni in cotto che sovrastano le forme arcuate dei portali, tendendole visivamente verso l’alto, come fossero una spinta, un richiamo alla trascendenza con i loro angoli aguzzi tanto simili a quelli della facciata della chiesa di Sant’Orso ad Aosta.
Prima di avvicinarmi alla chiesa mi soffermo davanti a ciò che resta dell’ospedale, guardo le pietre scure davanti all’ingresso e la fantasia mi fa vedere una piccola folla di persone che chiedono sollievo ai loro dolori.
Qui i Cavalieri del Fuoco Sacro (i canonici regolari di S. Agostino di S. Antonio abate di Vienne) lenivano i dolori provocati dal Fuoco di Sant’Antonio, un male che provocava un insopportabile bruciore, mettendo grasso di maiale sulle pustole e sulla pelle arrossata degli infermi.
Gli affreschi della chiesa di Sant’Antonio di Ranverso
Aspettando l’inizio della visita guidata ammiro con calma il pronao della chiesa. I capitelli delle colonne sono stupefacenti sculture di pietra con teste di animali, a volte mostruosi, e curiose figure umane che sembrano “controllarmi” dall’alto mentre guardo gli affreschi cinquecenteschi sui muri del porticato, con la scena del trasporto del corpo di sant’Antonio Abate da Costantinopoli alle coste francesi.
É arrivato il momento di entrare e mentre la guida controlla i biglietti la precedo in quello che rimane del chiostro del convento: un solo lato, ma che ne rivela l’originaria bellezza.
L’utilizzo del cotto dà una grande armonia all’insieme, facendo risaltare le crociere delle volte, le grosse colonne illuminate dal sole, una delicata finestrella su cui si disegnano le ombre e che inquadra una sola rosa che, toccata da un raggio di luce, fa brillare il suo colore come una nota di gioiosa allegria nella pacata serenità del chiostro.
Le volte e le pareti della sagrestia sono completamente affrescate con figure simboliche sulle costolature e sulle vele del soffitto. Sui muri un ciclo sulla vita di Gesù dipinto da Giacomo Jaquerio, considerato il maggior rappresentante della pittura tardo gotica in Piemonte.
La Salita al Calvario è il suo capolavoro, un affresco stupendo dove la figura dolente e delicata del Cristo, su cui grava il peso della croce, sembra non appartenere alla realtà che lo circonda.
Una realtà grezza, fatta di armi acuminate e dei volti grotteschi, crudeli, alieni da ogni compassione, di uomini rozzi che spingono, tirano la corda con cui il condannato è stato legato. Quasi la degenerazione dell’umano, antitesi della figura del Cristo posta su un piano più vicino allo spettatore, quasi staccata dal tumulto minaccioso. Non vi sono figure anonime. Ogni volto è caratterizzato, diverso dagli altri e la scena assume un realismo impressionante.
All’interno della chiesa, sovrastato anch’esso da volte a crociera al cui centro i simboli raffigurano la storia della salvezza, altri affreschi di Jaquerio rappresentano, tra altri racconti, scene della vita di sant’Antonio e momenti di vita contadina.
Sull’altare maggiore una preziosa pala di Defendente Ferrari, voto della città di Moncalieri durante l’epidemia di peste del 1531.
Qui passava (e passa) la Via Francigena
Uscita nella luce del pomeriggio, giro intorno alla chiesa per ammirarne l’abside movimentata da imponenti costolature e coronata da pinnacoli come la sua facciata e il campanile, aperto sulla sommità da tre ordini di bifore.
Sant’Antonio di Ranverso è il punto di convergenza delle strade che scendevano dal Moncenisio e dal Monginevro per proseguire la Via Francigena verso Susa e mi emoziona camminare dove nei secoli sono passati tanti pellegrini.
Questi sono luoghi dove la storia ha lasciato segni profondi, come il grosso masso erratico che pare fosse oggetto di venerazione in tempi antichi e dove ora una colonna regge una croce a tau, ad indicare a viandanti e malati che qui potevano trovare cure e ristoro.
Per visitare la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso
Se non si dispone di auto, si può facilmente raggiungere il complesso di Sant’Antonio di Ranverso con una brevissima passeggiata dalla stazione ferroviaria di Rosta, sulla linea del Frejus in partenza da Torino www.trenitalia.com