Milano e la mala ? Ma come, addirittura una mostra sulla malavita a Milano?
Da milanese di nascita in un primo momento mi sono quasi offesa. Uno pensa alla malavita e di sicuro non pensa subito a Milano. O no? Neppure Giordano, che milanese non è di nascita ma di adozione, non associava la nostra città al fenomeno criminale, per lo meno quello di strada.
Poi ha vinto la curiosità e siamo andati a scoprire la “Storia criminale della città, dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca”, come recita il sottotitolo della mostra.
Abbiamo imparato molto e abbiamo dovuto ricrederci, almeno per il periodo dall’immediato dopoguerra (e qui siamo scusati per ragioni anagrafiche) fino alla metà degli anni ’80.
Attraverso 170 immagini d’epoca, documenti, “strumenti del mestiere” come la celebre custodia da violino che invece “ospitava” il mitra di Luciano Lutring (i genitori volevano che diventasse violinista…),
i dadi usati nelle bische, periodici e quotidiani abbiamo potuto ripercorre l’evoluzione della malavita in città: dalla “ligera”, la criminalità di quartiere, alle successive cosche mafiose fino all’invisibile (e impensabile per molti di noi, milanesi e non) criminalità finanziaria della Milano divenuta importante piazza d’affari internazionale.
Per me, milanese, è stato un po’ emozionante rivedere vecchi titoli di giornale su rocambolesche rapine di cui serbavo un vago ricordo di commenti in famiglia. Mi hanno commosso anche le foto di Milano avvolta nel “nebbione”. Chi l’avrebbe detto che si potesse avere nostalgia di quella nebbia così fitta, tipica proprio di Milano, dove si univano l’umidità della pianura padana e lo smog delle fabbriche cittadine?
Per fortuna la situazione è migliorata (anche se si fa fatica a crederlo, a volte) ma si sa, tutto quello che appartiene ai ricordi di gioventù ha sempre un sapore di nostalgia.
Vivendo la Milano di questi anni, è difficile immaginare che le vie oggi più alla moda fossero, solo pochi decenni fa, ricettacolo di una umanità che viveva ai limiti della legalità, quando non decisamente fuori.
Zone in cui prosperava la “ligera”, la delinquenza di piccolo calibro ma non per questo meno pericolosa.
“… truffatori e ladruncoli, ricettatori che fungevano talvolta da delatori, informatori (“soffia”) grazie ai quali la polizia riusciva a contenere entro limiti accettabili una delinquenza – siamo nell’immediato dopoguerra – così ben armata e diffusa che avrebbe potuto rivoltare la città se non ci fossero state queste misure di controllo e di contenimento messe in atto dalle forze dell’ordine”.
Le numerose armi, eredità della guerra, che continuano a circolare per tutti gli anni ’50 cambiano il tipo di malavita che imperversa in città, anche se sarà una famosissima rapina portata a termine “senza colpo ferire” a segnare la fine di un’epoca. E’ ancora viva nella memoria dei milanesi, la rapina di via Osoppo nel 1958.
“È la mattina del 27 gennaio quando […] i malviventi speronano un’auto portavalori della Banca Popolare di Milano e, senza sparare neppure un colpo, disarmano la guardia dileguandosi con l’intero bottino. I soli suoni che si sentono durante l’azione sono quelli del mitra simulato a voce da uno dei banditi: «Tatata tatata». Verranno traditi da una leggerezza, ma entreranno a pieno diritto nella storia del crimine”.
Nel decennio successivo Milano, divenuta più ricca, diventerà “la piazza” di bande che vengono da fuori, sempre più organizzate e prive di scrupoli.
Scompare la malavita di quartiere, romanticamente cantata da Nanni Svampa, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci con La ballata del Cerutti e Porta Romana. Negli stessi anni una canzone composta da Giorgio Strehler in ricordo della sua detenzione a San Vittore come antifascista, Ma mi cantata da Ornella Vanoni, diventa famosa come “manifesto” della “mala” milanese.
A proposito de La Ballata del Cerutti, sapete come è nata? Da un furto! A Giorgio Gaber era stata rubata la Lambretta al Giambellino, uno dei quartieri “poco raccomandabili” della Milano di allora. Il cantante non sporse denuncia. Un anno più tardi il ladro gliela restituì, spiegandogli che l’aveva presa pensando che solo con un suo mezzo di trasporto avrebbe potuto trovare un lavoro. Gaber, commosso da quelle parole, gli regalò la Lambretta. La foto dell’album ritrae l’incontro tra Gaber e il giovane.
Quasi simbolo del clima di quell’epoca ormai terminata, alla fine del 1962 appare Diabolik, il primo fumetto con un eroe criminale.
Gli anni ’60 sono segnati dalla violenza del “clan dei marsigliesi”, famosi per la rapina, perfettamente organizzata, alla gioielleria Colombo nella centralissima via Montenapoleone. Vengono sparate alcune raffiche di mitra, ma solo a scopo intimidatorio.
Purtroppo in quegli anni Milano diventa la “città dei mitra”, dove agisce la tristemente nota “banda Cavallero”. Durante le rapine si spara e si uccide.
Si insediano in città cosche mafiose, strutturate per gestire prostituzione, gioco d’azzardo, traffico di stupefacenti soprattutto nei night club e rapimenti (fino a 5 in un solo mese a Milano).
“Alla fine del 1967 Milano è […] simile alla Chicago degli anni Venti, dove dominano racket del gioco, della prostituzione, traffico degli stupefacenti e contrabbando, e dove i morti si contano a decine”.
Ormai la vecchia “ligera” milanese è un ricordo del passato, rievocato nelle osterie da canzoni nostalgiche e da una serie di film. ”Svegliati e uccidi” di Carlo Lizzani è incentrato sulla figura di Luciano Lutring, il “solista del mitra”, per quel suo tenere le armi nella custodia del violino. Interpreti Robert Hoffmann, Lisa Gastoni e Gian Maria Volontè.
Figura molto popolare a Milano per le sue frasi in dialetto ed i suoi modi “educati”, Lutring scrisse Lo Zingaro, una autobiografia dalla quale fu tratto un film interpretato da Alain Delon. Negli ultimi anni della propria vita, graziato da ben due presidenti, quello francese e quello italiano, si dedicherà a scrivere e a dipingere, soprattutto Milano, la sua città, che rievocava con ironia e nostalgia.
Durante il periodo buio degli “anni di piombo”, quando si uccideva per “motivi politici” e prima delle morti “eccellenti” di banchieri e finanzieri dalle inquietanti frequentazioni (Michele Sindona ucciso in carcere con un caffè avvelenato e Roberto Calvi, trovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Black Friars, i Frati Neri), il 15 febbraio 1977 a Roma viene catturato Renato Vallanzasca.
Il “bel René”, com’era conosciuto per il suo aspetto, non ha ancora compiuto 27 anni, ma ha già “collezionato” una lunga serie di furti, rapine, omicidi e sequestri di persona. Sarà condannato a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione. Rinchiuso a San Vittore, il “boss della Comasina”, evade dall’ospedale del carcere dove era stato ricoverato per una epatite che si era procurato iniettandosi urine, ingerendo uova marce e inalando gas propano.
Durante la latitanza costituisce una propria banda con cui mette a segno una settantina di rapine a mano armata, sei omicidi e quattro rapimenti. Seguiranno altre evasioni, altri crimini violenti con sparatorie fin dentro la metropolitana.
Un ultimo “eroe del male”.
“La storia di una città raccontata attraverso il suo lato più oscuro. Quarant’anni di vita che tracciano il volto tragico di una metropoli in rapida ascesa economica, in cui i fatti reali sembrano usciti dalla penna di un grande scrittore di gialli”. [testo tratto dal catalogo]
Uscendo nel cortile di Palazzo Morando, un ultimo ricordo di quegli anni: una “Giulietta”, la veloce auto grigioverde usata dalla Volante, la squadra di pronto intervento della Polizia.
Milano e la mala. Storia criminale della città, dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca.
Palazzo Morando
Via Sant’Andrea, 6 – Milano
Dal 9 novembre 2017 all’11 febbraio 2018
Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica: 10.00 – 20.00
Giovedì: 10.00 – 22.30
Lunedì: chiuso
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