Tra i ricordi più emozionanti del mio viaggio in Sardegna, vi è l’escursione in barca a vela all’isola Lavezzi, oltre le Bocche di Bonifacio, uno stretto passaggio che separa l’estremità settentrionale della Sardegna dalla Corsica.
Desideravo vedere quest’isola da moltissimo tempo, da quando nelle Lettere dal mio mulino di Alphonse Daudet lessi della sua visita a Lavezzi, scena di una tremenda tragedia del mare. Il più grande naufragio del Mediterraneo non dovuto a cause di guerra.
Le Bocche di Bonifacio sono famose fin dall’antichità per l’impetuosità delle tempeste che sconvolgono lo stretto, quando si scontrano venti e correnti marine.
Quasi nel mezzo, l’isola di Lavezzi, aspra, disabitata.
Partiamo da La Maddalena con il sole e un calmo vento del mattino. Stessa imbarcazione e stesso equipaggio di un’escursione precedente nell’arcipelago.
Sono molto contenta, il ricordo della navigazione di qualche giorno prima mi fa pregustare il piacere di una giornata scandita dalla bellezza del mare e dal fruscio del vento sulla vela, che sbatte e fa inclinare lo scafo tranquillamente, quasi gioiosamente, mentre davanti a noi sfilano veloci in lontananza le sagome delle isole.
Per prima compare Cavallo, dalla bella spiaggia chiarissima, ricoperta di bassi alberi che nascondono le ville dei fortunati che possono abitare quel paradiso.
Dal mare compare l’isola di Lavezzi
Poi ci avviciniamo a Lavezzi e sembra che la dolcezza del Mediterraneo scompaia improvvisamente. Rocce e ancora rocce. Solo rocce.
Si alzano dall’acqua in massi giganteschi, dalle forme strane. Dure e inospitali. A volte decisamente inquietanti.
Nessuno può abitare a Lavezzi. Come potrebbe?
Passiamo davanti a un piccolo faro in disuso e a un piccolo cimitero.
Chi non conosce la storia di Lavezzi non fa in tempo a chiedersi per chi sia un cimitero in un’isola disabitata, che già dalla nostra barca ne vediamo un secondo, simile.
E lì vicino, uno strano monumento, un obelisco sulle rocce.
Una tragedia a Lavezzi
Sbarcata, mi avvio all’entrata del cimitero vicino alla stele innalzata per ricordare quella tremenda notte del 15 febbraio 1855, quando una nave militare francese diretta alla guerra di Crimea incappò in una furiosa tempesta nelle Bocche di Bonifcio.
Da allora tutti i marinai si sono chiesti cosa fosse realmente successo alla Sémillante, la nave con a bordo i 750 uomini che morirono tutti, sbalzati violentemente sugli scogli mentre la loro nave si sfasciava sotto la furia di onde gigantesche.
Perché in una notte di tempesta il comandante della Sémillante osò sfidare proprio le Bocche di Bonifacio, anziché trovare riparo lungo le coste della Sardegna?
Nessuno potrà mai dare una risposta. Neppure uno si salvò dalla furia del mare e del vento.
Di 750 uomini vennero ritrovati i corpi, ciò che restava dei loro poveri corpi smembrati, solo della metà. Degli altri il mare aveva cancellato anche le tracce.
Lunga fu l’opera pietosa di ricuperare per tutta l’isola ciò che rimaneva dei naufraghi. Impossibile trasportare i loro resti.
Da allora sono rimasti lì dove sono morti, nei due piccoli cimiteri costruiti per loro, visitati a volte da turisti inconsapevoli e curiosi, a volte da chi si raccoglie un attimo, andando col pensiero alla loro tragica fine, davanti a quelle piccole pietre tombali tutte uguali, tutte anonime. Di loro fu impossibile ricuperare perfino i nomi.
Una sola tomba si distingue dalle altre, addossata al piccolo muro di recinzione. E’ quella del comandante della Sémillante, riconoscibile da ciò che rimaneva della sua uniforme. Di fianco, una grande lapide di bronzo reca incise le parole dolenti di sua madre.
Sul cimitero incombe un grande masso. Lo sento minaccioso, come se fosse possibile che qualcosa possa ancora recare danno a chi è sepolto sotto quelle piccole lapidi.
Faccio fatica a staccarmi dai pensieri. La quiete non viene interrotta neppure dai turisti che si avvicinano curiosi, gettano un’occhiata e se ne vanno, ritornando alla bellezza del mare e della spiaggia.
Davanti al cimitero non c’è spiaggia. Solo bellissimi cuscini di erbe selvatiche che raggiungono le piccole onde, limpidissime, che si formano riparate dalle rocce dove si innalza il piccolo obelisco.
Il ricordo di quella lontana tragedia.
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