Andare a Napoli solo per entrare in un museo? Può sembrare un paradosso.
Napoli è una città talmente vivace, che infonde energia al solo camminare nelle sue strade, che l’idea di arrivarci per chiudersi subito in un museo, magari in una giornata di sole, risuona per lo meno come una “stranezza”.
Io, però, ero certa. Il Mann (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) meritava il sacrificio di ore luminose e dei suoni delle strade trafficate del centro città. Una certezza che mi ha ampiamente ripagata.
Obiettivo: Collezione Farnese
Scopo della visita era vedere quella parte della preziosa Collezione Farnese che è esposta al Mann e di cui i Borboni di Napoli entrarono in possesso per via ereditaria, oltre ad altri tesori d’arte conservati a Palazzo Reale, alla Reggia di Capodimonte e a quella di Caserta.
In questa visita al Museo Archeologico ho voluto dedicarmi principalmente alla scultura antica, magnifici pezzi che Alessandro Farnese (divenuto papa Paolo III) iniziò a collezionare a metà ‘500.
Una raccolta che negli anni successivi si arricchì con i ritrovamenti di grandi capolavori rinvenuti a Roma, in particolare alle Terme di Caracalla.
Appena mi affaccio alla prima delle sale, dove installazioni contemporanee “commentano” e si integrano con l’arte antica, vengo quasi “assalita” dai due Tirannicidi, copia romana di un antico gruppo greco del V sec. a. C.
Il più giovane è colto mentre si slancia, nel gesto di alzare la spada per assassinare Ipparco, tiranno di Atene. L’altro tiene un braccio teso e l’arma ormai rivolta in basso. Perfetti i corpi che sembrano vibrare nella tensione.
I visi invece trasmettono la tranquillità senza emozioni di chi è pienamente consapevole e deciso ad assumere la tremenda responsabilità del proprio gesto.
Con ancora negli occhi il movimento di quei corpi, Artemide Efesia mi impressiona con la ieraticità del portamento e le inusuali “decorazioni” che fanno fermare davanti a lei più di un visitatore incuriosito. In prezioso alabastro giallo, è la copia di una immagine venerata nel tempio di Efeso.
Sull’abito della dea, dominatrice delle forze selvagge della natura, teste di tori, di leoni e di cavalli, ma anche api che si accostano ai fiori.
Ogni dettaglio della sua figura rimanda a un significato simbolico, come le quattro fila di protuberanze che porta sul petto, identificate come mammelle o come scroti di toro, comunque simboli di fertilità, della forza generatrice della natura.
Un’altra forza, più brutale, è quella del Toro Farnese, un bellissimo gruppo ellenistico tratto un unico blocco di marmo, la più grande scultura antica (3,70 mt), ritrovata nel 1545 alle Terme di Caracalla.
Di datazione e di autore non certi, è la rappresentazione, estremamente dinamica nella torsione e nell’impeto dei corpi dei due giovani e del toro, del supplizio di Dirce, legata a un animale furioso dai nipoti che volevano vendicare i maltrattamenti da lei inflitti per gelosia alla loro bellissima madre, amata da Zeus.
Un gigantesco Ercole, stanco per le fatiche impostegli dagli dei, si riposa appoggiandosi alla clava e nascondendo nella mano dietro la schiena, i pomi rubati alle Esperidi mentre Eros e il Delfino, candidi nel biancore del marmo, giocano avviluppando i loro corpi in un groviglio inestricabile.
Al bellissimo Dafne il dio silvestre Pan insegna a suonare il flauto mentre la vanitosa Venere Callipigia (“dalle belle natiche”) solleva le vesti e volge indietro il capo per ammirare il suo corpo di perfetta bellezza.
La Collezione Farnese non ha ancora finito di stupirmi.
Nella sala delle gemme, piccoli e preziosi gioielli intarsiati, mi incanta la stupefacente Tazza Farnese in agata trasparente di epoca ellenistica, presumibilmente utilizzata a scopi rituali.
Al suo interno, meravigliosamente incise, simboliche figure maschili e femminili, forse di interpretazione egizia, come può suggerire la figura di una Sfinge.
All’esterno, la testa di una Gorgone dai capelli che si irradiano verso i bordi.
Un indimenticabile viaggio nella bellezza dell’arte antica. Nella bellezza senza tempo delle forme e delle proporzioni, della forza e della serena ieraticità dei capolavori della Collezione Farnese al Museo Archeologico di Napoli.
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